Il vento sulla propria pelle…

21 maggio, all’imbrunire

Il vento scuote con forza gli alberi, sposta le nubi, fa brillare come stelle le luci della città… e richiama alla memoria le bellissime parole di Alda Merini:

“Mi piace la gente che sa ascoltare

il vento sulla propria pelle,

sentire gli odori delle cose,

catturarne l’anima.

Quelli che hanno la carne

a contatto con la carne del mondo.

Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza,

lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore.”


Apri gli occhi è già lunedì…

Io non ti vedo

Non ti vedo. So bene
che sei qui, dietro
una parete fragile
di mattoni e di calce, alla portata
della mia voce, se solo chiamassi.
Ma non chiamerò.
Domani ti chiamerò,
quando, non più scorgendoti,
fingerò che tu insisti
qui presso al mio fianco,
e che basta oggi la voce
che ieri tenni muta.
Domani … quando sarai
là dietro una
fragile parete di venti,
di cieli e di anni.

Pedro Salinas “Presagios” 1923


Dai tuoi occhi solamente

“Mentre si allontanava riusciva a sentire lo sguardo di lui perforarle la schiena, scavarle la pelle. Era uno sguardo che non si accontentava della superficie delle cose, voleva indagarle, sviscerarle, scomporle e ricomporle, fino a possederle. Era ciò che li rendeva simili. Tuttavia, la turbava il fatto che lui volesse raggiungerla oltre i muri innalzati nel tempo, che volesse decifrarla. Nessuno si era più preso quel disturbo, da troppi anni a quella parte.”

“Qualcosa si frappose tra le costole e il respiro, un dolore mai sopito, e dovette posare le mani sullo schienale di una sedia per non vacillare. Il passato non si dimentica, ha radici inestirpabili che si intrecciano al presente, definisce ciò che siamo, o ciò che siamo diventati. Per Vivian il passato era una stanza di specchi e ombre, di riflessi che le restituivano, incessantemente, i volti delle donne che l’avevano plasmata: una su tutte sua madre. La sua ombra incombeva ancora su di lei, sebbene da anni avesse cercato, in tutti i modi, di lasciarsela alle spalle. Tutta la sua vita era una fuga da colei che, per paradosso, le aveva insegnato a fuggire.”

“Io non credo che tu stia inseguendo qualcosa, Vivian. Credo che tu stia fuggendo da qualcuno. Ti stai nascondendo, come facevi da bambina. Solo che adesso ti nascondi dietro questa – concluse indicando la macchina fotografica.”

Francesca Diotallevi ha scritto un appassionante romanzo sulla figura di Vivian Maier, artista straordinaria, il cui talento è stato scoperto solo agli inizi del XXI secolo quando, del tutto casualmente, i suoi negativi e i suoi rullini sono stati ritrovati.

E’ una storia non facile, che colpisce a volte dritta al cuore; una storia da leggere guardando i suoi scatti: “Non tutte le storie sono storie d’amore, non tutte le storie hanno lieto fine. La mia è la storia di chi ha vissuto attraverso le storie degli altri, di chi ha visto tutto senza essere mai vista. La mia è la storia di un’ombra.”

Della stessa autrice ho letto anche il libro sulla tormentata e struggente storia d’amore fra Jeanne Hébuterne e Amedeo Modigliani. Li consiglio entrambi perché attraverso queste pagine si può cogliere “l’umanità” di quelli che a volte rimarrebbero solo artisti famosi sì, ma forse distanti dalla realtà.

dav

Francesca Diotallevi “Dai tuoi occhi solamente” Neri Pozza Editore

Francesca Diotallevi “Amedeo, je t’aime” Electa Storie


Come è meraviglioso il mare…

V

come è meraviglioso il mare

inviato dalle mani di dio

a dormire sul mondo

e la terra inaridisce

la luna crolla

una a una

le stelle si polverizzano frullando

ma il mare

non muta

e procede dalle mani e

torna alle mani

ed è col sonno…

amore,

l’infrangersi

della tua

anima

sulle

mie labbra

E.E. Cummings “POESIE D’AMORE” Casa Editrice Le Lettere


Quando la mattina inizia storta…

Per amare bisogna aver dimenticato tutto, è quello che non ho mai smesso di fare.

…storta eccome o forse è il cervello ad essere ancora in “stand by”! Inserisco tre volte il Pin sbagliato nel telefono, mi viene chiesto il codice Puk per lo sblocco! Puk??? Il mio cuore vacilla! Sarà forse la sigla di una qualche associazione segreta russa? No un codice numerico di 8 cifre da conservare con cura!!!

Si, ma dove? Svuoto con grazia (o quasi) tutti i cassetti di casa e davanti mi si apre un mondo: sassolini raccolti sulla spiaggia, agendine di ogni specie, tessere, fotografie degli avi e pure un pettine rosa regalato da un tenero “fidanzatino” alle scuole elementari, ma di Puk neppure l’ombra!

…spero che nessuno entri in casa in questo momento, perché potrebbero solo pensare che è appena passato uno tsunami…

Decido che Pin, Puk e tutte le forze avverse delle 7.20 del mattino vanno affrontate a modo mio: zucchero e bellezza!

Ecco il mio rimedio, se un mattino dovessero far visita anche a voi: Frittelle e fruscio di pagine di un libro che amate! Così ho avuto la meglio su Puk… sui cassetti, non ancora!

Buona giornata!

“Lettere a Yves Saint Laurent” è un pamphlet che raccoglie le lettere scritte da Pierre Bergé, a lungo compagno del grande sarto francese e poi rimasto al suo fianco per cinquant’anni, dopo la sua dipartita.

E’ un libro che ho già letto, ma che riprendo sovente perché rievoca la grandezza di un amore e la bellezza della condivisione di una vita.

-“Se dovessi rivivere, rivivrei come ho vissuto: non rimpiango il passato né temo il futuro”, Montaigne, Saggi. Che altro potrei aggiungere? Niente. E’ quello che mi dico mentre ti scrivo. Ho sempre pensato così. I rimproveri che ti ho rivolto in queste lettere, o che tu hai potuto percepire, non sono recriminazioni, solo rimpianti. –

Pierre Bergé “Lettere a Yves Saint Laurent” Archinto editore

FRITTELLE

Ingredienti

1 uovo

2 cucchiaini di zucchero di canna

3 cucchiai di latte

1 cucchiaio di farina

1 noce di burro

Preparazione

In una piccola scodella per la colazione sbatto con l’aiuto di una frusta l’uovo con lo zucchero, aggiungo il latte e per ultima la farina. Amalgamo bene, fino a quando tutti i grumi sono scomparsi. Scaldo un padellino, lo ungo con un piccolo pezzo di burro e verso il composto. Con queste dosi si fanno due frittelle. Aumentandole in proporzione se ne possono preparare molte di più. La ricetta è semplicissima, ma al palato e all’umore dà grandi soddisfazioni!


A loverlon man on the way…

Francesco Nuti

Per chi ama Francesco Nuti il bellissimo racconto di Giovanni Veronesi:

“Riccio, biondino, col buchino sul mento, e si chiamerà Lorenzo. Scrissi una storia per dare un figlio a Francesco.La svolta della mia vita è stata una notte in cui Francesco Nuti mi raccontò che avrebbe desiderato un figlio. Io avevo 23 anni e lui 30. Eravamo sul terrazzino del Residence Prati e ricordo come se fosse ora, che fumava una Stop senza filtro di Novello Novelli. Ogni tanto se ne concedeva una. Tirava boccate enormi e diceva scherzando: sai come gode il polmone? Poi, diventò serio e disse: chissà come sarebbe un Nutino? Babbo dammi 500 lire voglio andare alle giostre. No è pericoloso, tieni, prendine mille e vai dove ti pare. Mi diceva che se avesse avuto un figlio, l’avrebbe viziato abbestia, poi però gli avrebbe fatto suonare il pianoforte e imparare a giocare bene a poker. Lui giocava bene ma perdeva quasi sempre da Benigni. Ecco, come Benigni, disse. Gli darei uno scappellotto ogni tanto, così anche se unna’ fatto nulla e tanti baci come se dovesse sempre partire. Lo educherei senza educarlo. Vivendoci insieme, come fanno le mamme orse. Appunto gli dissi, e la madre? Eh, nota dolente per lui, che era sempre fidanzato senza esserlo. La madre sarà una bella madre! La troveremo dai, non mi far pensare a cose tristi adesso. Un ce l’ho una madre da dargli. Ora voglio pensare solo a lui. Riccio, biondino, col buchino sul mento, e si chiamerà Lorenzo. E gli occhi? In giù, gli occhi devono essere sempre in giù, sennò non fa tenerezza. Era un autoritratto praticamente. E il carattere come il mio, presuntuoso e permaloso, ma molto generoso. Ma dalla madre non prende nulla? O che la smetti con questa madre? La un c’è la madre, per adesso, un c’è, che devo fare? C’è solo Lorenzo. Si ma è come se tu arredassi una stanza prima di costruirla. Mi guardò stupito. Bello! Gli piacque. Pensa: tutto l’arredamento messo preciso su un prato e intorno nulla, senza pareti. E’ una bella immagine. Sì, Lorenzo per adesso è così, senza pareti. Io andai a letto stranito quella notte. L’immagine di un salotto abbandonato in un prato mi tormentava. Figuratevi io, figlio di un ingegnere, che ero stato capace di immaginare una cosa del genere. Se l’avessi detto a mio padre mi avrebbe diseredato. Alle 4 del mattino iniziai a scrivere. In tre ore circa riuscii ad immaginarmi non solo le pareti ma anche il condominio e tutto il quartiere. Scrissi una storia per dare un figlio a Francesco. Quattro paginette con una bic nera, che ricordo finì proprio alla fine del soggetto. Era un segno che qualsiasi cosa volessi aggiungere era di troppo. Al mattino dopo, cioè mattino, alle tre del pomeriggio diciamo, raggiunsi l’ufficio con la mia opera omnia. Non si presentava benissimo, perché i fogli erano tutti spiegazzati e l’inchiostro un po’ sbafato, pero’ per me era Lorenzo. Infatti il titolo che gli avevo dato era proprio quello. Lo consegnai a Francesco dicendo: io non sono propriamente una bella madre, però questo è tuo figlio, tieni, l’ho partorito stanotte per te. Lui sorrise e si mise subito a leggere. Io andai al bar a fare una colazione pranzo merenda, vista l’ora e quando tornai in ufficio mi accorsi che c’era un’atmosfera strana. Anche la segretaria mi guardava diversamente. Gianfranco Piccioli e Francesco Nuti che erano soci in produzione, mi convocarono ufficialmente nella stanza principale. Senti Giovanni, dicci la verità, non l’hai copiato eh? Perché si va in galera tutti sennò. Io mi misi a ridere. No, giuro l’ho scritto stanotte! Perché, vi piace? Francesco mi abbracciò, sembrava quasi che aspettasse quel momento da tanto tempo. Finalmente ero diventato quello che lui voleva e cioè, il suo sceneggiatore. Il suo autore privato, oltre che grande amico. Nei suoi occhi in giù, vidi l’emozione di un momento ufficiale, quasi un’incoronazione. Lui voleva quanto me che io diventassi qualcuno o perlomeno qualcosa nel cinema e quel pomeriggio, lui capì, più di me, che ce l’avrei fatta. Grazie mi disse, del figlio, ma soprattutto per non avermi deluso. E così io me ne andai in giro per il centro di Roma credendo di essere diventato l’ottavo re, molto prima di Totti. E quei quattro fogliacci scritti a mano, diventarono uno dei film più belli di Francesco Nuti che non si intitolò mai Lorenzo, ma “Tutta colpa del Paradiso.”

“Tutta colpa del paradiso” è un film che ha più di trent’anni, ma ascoltare Giovanni Veronesi che racconta questa storia mi ha fatto venire un po’ di nostalgia per gli anni ’80 e per Romeo, interpretato con tanta dolcezza da Nuti ” a loverlon man on the way”!



La Cura


Riflessi

Credo che ognuno trovi la cura per la propria anima, a volte smarrita, a volte semplicemente affaticata, in qualche cosa.

Io la trovo nei libri e nella cucina.

I libri vengono prima e non lo dico per vanto.

Quando una giornata è un po’ più “storta” delle altre mi basta anche solo sfiorarli, sfogliarli per recuperare un senso di pace.

Cucinare è il passo successivo: la serenità riacquistata, poi, mi spinge con nuovo entusiasmo verso i fornelli!

La cura è…

Un pacchetto di lettere chiuso con un pezzo di corda stretto e rimasto nascosto in un baule per quasi un secolo.

La storia di un incontro fra una principessa e un artista.

Lasciare spazio solo alla bellezza.

“Amica mia!

Non posso resistere allo scrivere due righe. E’ giunta la cassetta dei fiori. Tutta la poesia dell’Isolino, dei suoi cespugli, tutta la poesia della vostra bontà era chiusa in quelle quattro assicelle. Aperta la cassetta rividi tutto e mi sentii invaso da una sconsolata nostalgia.

“Mia madre era veramente commossa e ha voluto subito telegrafare. Quanto siete buona gentile amica mia.

“Ho avuto una giornata triste. Milano mi sembra vuota e buia. Mi sento lontano da tutti e da tutto. Ho riletto la vostra lettera, ho meditato sui progetti, l’ho tenuta con me questa notte, l’ho riletta e vi ho ringraziata dal profondo della mia adorazione.

“Se non devo tornare da voi vorrei partire oggi per il reggimento. E’ inutile non posso più stare! C’è qualcosa che mi prende! mi afferra alla gola e mi commuove! Giro le strade col disgusto di tutto. Tutto mi pare banale e povero e inutile e volgare. Mi calmerò amica mia, mi calmerò non temete. Nulla sarà fatto che possa dispiacere la vostra onestà, la vostra pace, la vostra stima per me, la suprema bellezza della vostra vita!

“Ma sento che qualche cosa trabocca in me! Che giornata grigia in questo caldo pesante! Tra poco calerà la sera sulla cara isola. Starete nella veranda? Nel salone bianco e azzurro? Certo salirete silenziosa e maestosa la scala segreta. Entrerete nella vostra camera…Buonanotte amica mia, sorridete nel sonno.

M’inginocchio e vi bacio le mani

Vostro Boccioni”

“Amico caro,

“Torno ora da Intra e la sua lettera mi aspettava. L’ho letta tutta d’un fiato seduta sulla veranda, perché sapevo che avrebbe da dirmi tante cose che mi avrebbero interessata. Dunque sarà artigliere, ed è libero fino al 24 … ed è contento. Le dico subito: venga appena può. Non ci rivedremo forse per tanto e tanto tempo, e in questo anno di guerra spero che la gente avrà altre cose alle quali pensare che di notare che Lei sta volentieri all’Isolino. Io dirò che dovendo parlare col Colonnello Talamo (per carità poi trovi qualcosa da dirgli!) mi ha domandato di poter tornare per tre giorni. Questi tre poi si prolungheranno. del resto non riguarda nessuno quanto tempo restate da me! Più tardi avrò altri amici, che resteranno anche di più. dunque telegrafatemi il giorno e l’ora del vostro arrivo, e se per battello o per treno. Vi aspetto!

“Può darsi che arrivi Carlo Visconti, si era annunciato per l’11 luglio e non mi ha più fatto sapere niente. Ma lo troverete colto e simpatico. Non ha salute, e spesso deve coricarsi prima di pranzo o anche restare in camera tutto il giorno, poveretto. E’ un vecchio amico al quale voglio bene; un’anima retta.

“Dunque vi vedrò tornare, io che mi ero rassegnata a riprendere la mia vita solitaria. Vi è una luna, vedrete che serate meravigliose, se tornate presto! Avremo delle serate meravigliose. Ieri sera, quando sono andata a letto, vi era una striscia d’argento fantastica sul lago: come le “paillettes” che si portavano una volta. Mi sono messa a leggere il vostro libro: vi sono varie cose che devo chiedervi, a proposito, poi quando è venuto il sonno ho guardato il vostro ritratto in prima pagina, ho detto: “Buonasera, amico” – e mi sono addormentata.

“Non ho visto nessuno eccetto mia madre da quando siete partito. No, mi sbaglio; una coppia di vicini, da Belgirate, ossia; che hanno qualificato l’Isolino come “Molto chic!” E’ tutto dire.

“Il prefetto mi ha dato qualche prima fotografia, ma sono stampate male. Vi mando però una.

” A rivederci, amico. Fra breve, non è vero?

Le due mani

Vittoria Caetani di Teano”.

L’Isolino

Marella Caracciolo Chia “UNA PARENTESI LUMINOSA – L’amore segreto fra Umberto Boccioni e Vittoria Colonna” Adelphi Edizioni


Haiku e torta di fragole e cioccolato

Petalo dopo petalo

cadono le rose gialle –

il rumore del torrente.

Matsuo Basho “Centoundici Haiku” La Vita Felice editore

Torta di fragole e cioccolato

Ingredienti

200 grammi di farina tipo 1

100 grammi di fecola di patate

100 grammi di zucchero

3 uova

80 grammi di burro o di olio di mais

1 yogurt (125 grammi) bianco o alla fragola

1 bustina di lievito per dolci

fragole e gocce di cioccolato

Preparazione

In una ciotola frullo le uova con lo zucchero, aggiungo lo yogurt, l’olio (o il burro fuso) e poi poco per volta la farina, la fecola e il lievito. Non ho precisato la quantità di fragole e gocce di cioccolato da aggiungere perché si possono mettere a piacimento. Unico accorgimento, quello di tagliare le fragole a pezzettini. La torta deve cuocere in forno a 180° per 40 minuti.

Buona giornata!


Apri gli occhi è già lunedì…

Come mai le donne se intendono sempre? Secondo me perché sono detentrici del mistero della formazione della materia.

“La crostata aveva prodotto l’ennesima dissertazione sul perché, pur essendo fatta di semplici ingredienti, fosse tra i dolci più amati da chiunque. un dolce considerato dal professore -privo di trabocchetti- e – di facile cattura-…”

Badare a Luciano Farnesi, anziano professore di filosofia che disserta anche sui dolci, (“filosofeggia anche quando sta boccheggiando” dirà più avanti, in un passo del libro, sua figlia Elisa) è la nuova proposta di lavoro che, in un caldo pomeriggio di agosto viene fatta a Maria Vittoria Baroncini.

La giovane donna quarantenne ha perso il lavoro e il suo matrimonio non solo fa la muffa, come la casa della petulante suocera, in cui è costretta a vivere, ma sta in piedi “come una capannuccia fatta con gli stuzzicadenti”.

Maria Vittoria accetta senza esitazione, solo con un po’ di timore perché fra i suoi compiti ci sarà anche quello di leggere per il professore che da una decina d’anni ha perso la vista “Leggere so leggere, ma cosa vuole che si legga?”

Nel luminosissimo appartamento del professore, ( una casa invasa dalla luce visto che i suoi occhi non vedono più), Maria Vittoria si occuperà delle faccende domestiche, ma diventerà anche i suoi occhi per poter rileggere Pascal, Epitteto, Epicuro…

Fra i due si instaura un dolce rapporto fatto di comprensione e a poco a poco di confidenza reciproca e i pensieri dei filosofi saranno gli strumenti attraverso i quali il professore aiuterà Maria Vittoria ad affrancarsi da una vita triste e limitante.

“Ho abitato per tanti anni tollerata come una pattumiera in camera, e manco me ne accorgevo. Ci si sente più soli quando si costruisce una vita apposta per non esserlo”.

Di sfondo, ma in qualche modo attori vivaci della storia anche loro, una Livorno da cartolina, che ti vien voglia di partire per fare le passeggiate che il professore percorre con i suoi amici di una vita, ed un coro di personaggi deliziosi.

Maria Vittoria con dolcezza accompagna il professore anche quando la sua salute peggiora e la sua mente comincia a vacillare. Nella casa piena di luce, di vento che profuma di mare di pitosfori e di fiori, mentre lei lascia andare le delusioni e con gratitudine accoglie una nuova vita per sé stessa , il professore sembra “ripescare nell’infinito una goccia di sollievo.”

“Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Sì perché tu eri dentro di me e io fuori” Sant’Agostino.

Alice Cappagli “Niente caffè per spinoza” Einaudi editore

Crostata alla marmellata di mirtilli e lamponi

Ingredienti

300 grammi di farina tipo 1

125 grammi di burro ( a temperatura ambiente)

100 grammi di zucchero di canna

2 uova

2 cucchiaini da caffè di lievito per dolci

Preparazione

In una ciotola capiente metto tutti gli ingredienti dosati e li lavoro velocemente con le mani. L’impasto deve risultare morbido, ma non appiccicoso. Solitamente la pasta frolla va fatta riposare, ma io spesso la utilizzo subito. Stendo quasi tutto l’impasto in una teglia tonda e tengo da parte solo un piccolo pezzo di pasta per creare le decorazioni o le righe. Tendo a non mettere troppo zucchero nell’impasto perché la marmellata addolcisce già molto.

Buon lunedì e buona settimana!


Il silenzio

“Ammettilo, neanche ti immaginavi di essere avvolto da così tanto mondo”

Ieri sera Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, ha scritto questo twitt:

“Ogni giorno sta in solitudine un po’ di tempo, lascia che affiorino nella memoria del tuo cuore i volti di quelli che ami, i sentimenti che ti abitano, le emozioni, gli eventi della tua vita, e risveglia in te stupore, gratitudine e tenerezza: così si diventa più umani!”

Accogliendo il suo messaggio ho ripensato ai versi di un poeta che amo molto : Franco Marcoaldi.

“E poi c’è quella cosa meravigliosa

che è il silenzio. C’è quello spazio

tempo vuoto e denso che lascia

tutto com’è, impregiudicato:

prima del prima e dopo il dopo,

grembo dell’infinito nulla

e del creato.”

Franco Marcoaldi “La Trappola” Giulio Einaudi Editore

Buona domenica… e buon silenzio!